Navigazione di pazienti ippocampali e ruolo di una connessione entorinale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 03 dicembre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

In un unico scritto desidero presentare due studi, ben distinti per metodo ed oggetto, ma afferenti alla stessa area di conoscenze, ossia quella delle basi neurobiologiche e neurofunzionali della capacità di dirigersi, orientarsi, perlustrare e percorrere ambienti non conosciuti. Il primo ha posto a confronto le prestazioni di pazienti con lesioni del lobo temporale mediale o selettive dell’ippocampo con quelle di volontari sani in compiti consistenti nella trasformazione delle indicazioni di una mappa in informazioni necessarie per seguire materialmente un percorso stabilito; il secondo riferisce l’identificazione di un ruolo per un fascio di fibre glutammatergiche che raggiunge la corteccia entorinale.

In una nostra nota dello scorso anno[1] sono bene illustrate le ragioni dello straordinario interesse suscitato dai sistemi dell’ippocampo e della corteccia entorinale sia in funzione dell’organizzazione degli automatismi che consentono la relazione dinamica con lo spazio in un modo consapevole e costantemente adattato, sia per i rapporti fra la struttura delle mappe spaziali dell’ippocampo e la memoria esplicita umana. Rinviando alla lettura integrale di questo testo per la sintesi concettuale delle conoscenze attuali proposta dai coniugi Moser, qui di seguito ne proponiamo un ampio stralcio a scopo introduttivo:

“L’intuizione dell’esistenza nel cervello di una mappa cognitiva dell’ambiente da parte di Edward Tolman è citata da Siegelbaum, Kandel e vari altri autori, quale primo antecedente documentato dell’ipotesi di lavoro che portò nel 1971 John O’Keefe e John Dostrovsky a scoprire nell’ippocampo di ratto una speciale mappa cognitiva dello spazio vissuto dall’animale. Non deve meravigliare, però, che fra i ricercatori l’idea di una rappresentazione cerebrale dinamica dell’ambiente circolava da tempo. L’osservazione della rapidità e dell’efficienza dei movimenti dei roditori anche in ambienti nuovi e le prestazioni di memoria spaziale di uccelli e mammiferi in grado di ricordare l’esatta localizzazione di nascondigli di cibo o di altri contrassegni ambientali, avevano da tempo suggerito la possibilità dell’esistenza di sistemi neuronici specializzati. Grazie al lavoro di John O’Keefe, oggi possiamo dire che la familiarità di un animale con un particolare ambiente è rappresentata nell’ippocampo da uno speciale schema di attività nelle regioni CA3 e CA1 di una popolazione di neuroni piramidali detti cellule di luogo o place cells. Ciascuna di queste cellule si attiva quando un animale entra nella zona di spazio corrispondente all’area di competenza della cellula, il campo di luogo o place field. Quando un animale entra in un nuovo ambiente, nel giro di pochi minuti si formano nel suo ippocampo nuovi campi di luogo, che rimangono stabili per settimane o mesi. Per queste proprietà, se si registra l’attività elettrica di un numero adeguato di place cells, è possibile ricavarne l’informazione relativa a dove si trovi esattamente l’animale in quel momento. In tal modo si ritiene che l’ippocampo costituisca una mappa dinamica dello spazio circostante. La dimostrazione da parte di O’Keefe della funzione delle cellule di luogo ha fornito la prima evidenza di una rappresentazione cerebrale dell’ambiente che consente all’animale un’agevole ed efficace traduzione delle intenzioni locomotorie in atti appropriati alle caratteristiche dello spazio. Questa mappa cognitiva non è organizzata secondo un criterio anatomico topografico o egocentrico, come la somatotopica del tatto sulla superficie della corteccia cerebrale, ma è una rappresentazione che si può definire allocentrica, essendo fissata ogni volta rispetto ad un punto del mondo esterno. In altri termini, è una rappresentazione dello spazio-ambiente relativa al punto in cui si trova l’animale.

La mappa cognitiva ippocampale dello spazio rappresentata nelle cellule di luogo, nei trent’anni seguenti, ha ottenuto numerose conferme sperimentali ma, sebbene la sua esistenza fosse diventata una nozione consolidata nella didattica, rimaneva un mistero come facesse questa popolazione cellulare a conoscere le informazioni spaziali necessarie alla sua funzione. In altri termini, non si riusciva a capire in che modo la mappa si costituisse, quale tipo di informazioni spaziali e in quale modo giungessero a queste regioni dell’ippocampo.

Nonostante l’impegno di molti ricercatori, si continuò a brancolare nel buio fino al 2005, quando Edvard I. Moser, May-Britt Moser e colleghi accesero una luce straordinaria con la scoperta di un nuovo sistema cellulare organizzato come una griglia che mappa lo spazio nella corteccia entorinale mediale secondo un criterio del tutto diverso[2]. I neuroni scoperti dai coniugi Moser, detti cellule griglia o grid cells, compongono con i loro assoni la via perforante diretta all’ippocampo, e, a differenza delle cellule di luogo ippocampali che si attivano solo quando l’animale è in una singola e specifica localizzazione, scaricano ogniqualvolta l’animale è in una di varie posizioni regolarmente spaziate a formare una griglia o grata a maglie esagonali. Questa grata consente al cervello di localizzare il corpo cui appartiene all’interno di un sistema di coordinate cartesiane proiettate sul suolo dell’ambiente circostante, ma indipendenti dal contesto, da elementi distintivi di un territorio o contrassegni caratterizzanti un luogo[3].

Le informazioni spaziali codificate dalle grid cells, secondo il criterio della griglia nella corteccia entorinale mediale, sono poi convogliate all’ippocampo dove sono elaborate nella chiave di singole rappresentazioni spaziali corrispondenti all’attivazione delle cellule di luogo.

Ogni dato ambiente, per gli animali studiati e presumibilmente per la nostra specie, trova corrispondenza in una particolare configurazione di attività della specifica popolazione di cellule ippocampali, ossia è rappresentato in un firing pattern che, una volta costituito, è stabilmente conservato. Come? Questo problema di memoria ha impegnato a lungo i ricercatori: poiché le cellule di luogo o place cells non sono altro che i neuroni piramidali sui quali da decenni si studia il potenziamento di lungo termine (LTP), la principale base cellulare della memoria che si conosca, si è ipotizzato un ruolo dell’LTP nella conservazione della memoria della configurazione di attività corrispondente all’ambiente.

La verifica di tale ipotesi ha richiesto esperimenti con topi mancanti della subunità NR1 del recettore NMDA, necessaria per il potenziamento di lungo temine dell’attività sinaptica dei neuroni piramidali. Gli esperimenti, sorprendendo i ricercatori, hanno mostrato che i neuroni piramidali ippocampali, nonostante il blocco dell’LTP, ancora si attivano secondo campi di luogo. In questi topi mutanti, però, i campi di luogo risultano più espansi e meno precisamente delimitati nella sagoma dei loro confini rispetto a quelli dei topi normali. In un’altra serie di esperimenti con topi mutanti si è cercato di verificare l’importanza della fase terminale del potenziamento e della memoria spaziale a lungo termine. In tali ceppi murini l’espressione di un transgene che codifica una proteina inibitrice della proteinchinasi A, selettivamente elimina lo sviluppo della fase tardiva dell’LTP e della memoria dello spazio di lunga durata. Anche in questo caso i campi di luogo si formavano ancora, ma le configurazioni di attività (firing patterns) delle singole cellule di luogo duravano all’incirca un’ora e poi andavano perdute.

Su questa base si è dedotto che l’LTP tardivo non è richiesto per la formazione dei campi di luogo, ma è indispensabile per la loro stabilizzazione a lungo termine.

Un filone più recente e affascinante di indagini è quello che, con numerosi lavori, ha affrontato il problema dei rapporti fra la struttura funzionale delle mappe spaziali ippocampali e le basi neurali della memoria esplicita o dichiarativa tipica della nostra specie.

Nell’uomo, la memoria esplicita può essere definita come la rievocazione cosciente di fatti relativi a persone, luoghi ed oggetti. Nei topi non è possibile studiare la coscienza (coscienza di ordine superiore, secondo Edelman), pertanto si è eletta come equivalente l’attenzione selettiva, funzione indagabile nel topo ed attiva nell’uomo durante la rievocazione cosciente. Gli esperimenti condotti secondo questa impostazione hanno dimostrato che la memoria a lungo termine di un campo di luogo stabilmente conservato nell’ippocampo non è una memoria implicita costituita e usata automaticamente, ma richiede l’intervento di processi di specifica attenzione all’ambiente, che possiamo ritenere equivalenti della nostra rievocazione cosciente.”[4]

Tanto premesso, per ricordare i passi principali dell’iter compiuto dalla ricerca in questo ambito, veniamo allo studio condotto da Urgolites e colleghi.

(Urgolites Z. J., et al. Map reading, navigating from maps, and the medial temporal lobe. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1617786113, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurosciences, Department of Psychiatry, Department of Psychology, University of California, San Diego, CA (USA); Veterans Affairs San Diego Healthcare System, San Diego, CA (USA); Department of Neurobiology and Behavior, University of California, Irvine, CA (USA); Neuroscience Center, Department of Psychology, Brigham Young University, Provo, UT (USA).

I ricercatori hanno preso le mosse dalla partecipazione dell’ippocampo alla memoria e alla cognizione spaziale, e dall’incompiuta conoscenza del rapporto tra le due diverse funzioni. Per approfondire tale relazione, hanno sottoposto dei volontari a compiti di “navigazione”, in cui i partecipanti dovevano trasformare le coordinate di una mappa in coordinate geografiche per seguire materialmente i percorsi indicati sulla mappa stessa. Fra i volontari, i pazienti con lesioni circoscritte dell’ippocampo hanno fatto registrare una prestazione nella norma. Un paziente, con grandi lesioni che avevano danneggiato oltre all’ippocampo anche l’adiacente circonvoluzione paraippocampica, ha presentato compromissione della prestazione. Tutti i pazienti avevano problemi nel ricordare fatti inerenti al compito sperimentale.

Consideriamo un po’ più nello specifico gli elementi salienti di queste prove. Sostanzialmente sono stati somministrati dei compiti di “lettura di mappe” a dei partecipanti che, tenendo in mano le mappe, dovevano trovare la corrispondenza nei segni sul pavimento per individuare i percorsi da seguire, che prevedevano nove svolte. L’impegno di memoria era minimo, perché la mappa era sempre sotto gli occhi di ciascun volontario. Tuttavia, poiché la mappa era tenuta in una posizione fissa rispetto al corpo, erano richieste continue computazioni spaziali per trasformare le coordinate della mappa in coordinate geografiche per seguire il percorso.

I 5 pazienti con lesioni di estensione limitata dell’ippocampo hanno eseguito il compito con una prestazione simile a quella delle persone sane di controllo, per tutta la lunghezza del percorso (esperimento 1). Questi 5 pazienti erano perfetti anche nell’esecuzione di singoli spostamenti verso un luogo adiacente, anche quando le prove cominciavano affrontando una direzione che poneva in conflitto le coordinate della mappa con quelle geografiche (esperimento 2).

Al contrario, un paziente portatore di una grande lesione del lobo temporale mediale ha avuto delle prestazioni assolutamente scadenti in tutto l’esperimento 1 e, allo stesso modo, nell’esperimento 2, in particolare quando si generava il massimo conflitto fra coordinate della mappa e coordinate geografiche.

Subito dopo le prove, tutti i volontari affetti da lesione cerebrale avevano problemi nel ricordare fatti e dettagli relativi ai compiti sperimentali appena svolti.

I risultati sembrano indicare che l’intervento dell’ippocampo non è richiesto per eseguire le computazioni spaziali necessarie per leggere una mappa e tradurre le sue informazioni in locomozione precisamente orientata. Gli autori dello studio ipotizzano che la compromissione della lettura della mappa per effetto di una grande lesione del lobo temporale mediale debba attribuirsi a danno della corteccia del giro paraippocampico o di aree corticali adiacenti.

Di impostazione metodologica del tutto diversa è la comunicazione di Daniel Justus e colleghi, che riporta l’identificazione di un ruolo biologico per un fascetto di fibre che raggiunge la corteccia entorinale mediale, verosimilmente fornendo, attraverso un’integrazione sinaptica glutammatergica, informazioni relative ad un parametro temporale del movimento.

(Justus D., et al. Glutamatergic synaptic integration of locomotion speed via septoentorhinal projections. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi: 10.1038/nn.4447, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Neuronal Networks Group, German Center for Neurodegenerative Diseases, Bonn (Germania).

Fibre eccitatorie glutammatergiche provenienti dalla parte mediale del setto e dalla benderella diagonale di Broca formano una via di connessione con la corteccia entorinale mediale.

 La prevedibile importanza per le funzioni dei sistemi di neuroni di quest’area corticale entorinale, che rendono appropriati, precisi ed efficaci i movimenti necessari agli spostamenti nello spazio ed alla perlustrazione di un ambiente nuovo, ha attratto la curiosità dei ricercatori che hanno provato a decifrare il ruolo rimasto finora enigmatico di questo insieme di assoni provenienti da due formazioni particolari, in quanto implicate in una serie eterogenea di processi. Daniel Justus, con tredici colleghi, è riuscito a decifrare la natura dell’input trasmesso da questa via in termini di informazioni relative alla velocità di spostamento dell’animale.

La sperimentazione ha rivelato che la via costituita da assoni rilascianti glutammato e provenienti dal setto mediale e dalla benderella diagonale di Broca fornisce un input strettamente correlato ad informazioni relative alla velocità della locomozione a vari tipi di cellule della corteccia entorinale mediale (CEM). I neuroni post-sinaptici sono localizzati negli strati 2/3 della CEM. È risultato che il segnale relativo alla velocità era integrato più efficacemente dai neuroni piramidali, ma eccitava anche le cellule stellate e vari altri tipi cellulari interneuronici.

I dati ottenuti dall’insieme delle osservazioni sperimentali indicano che la via del setto mediale e della benderella diagonale veicola informazioni sulla velocità della locomozione dell’animale, che possono essere impiegate dai sistemi cellulari specializzati della CEM per la rappresentazione spaziale dell’auto-localizzazione.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-03 dicembre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Note e Notizie 28-11-15 Una lezione dai coniugi Moser insigniti del Nobel nel 2014.

[2] V. Note e Notizie 24-06-06 Neuroni entorinali aiutano ad esplorare l’ambiente; Note e Notizie 06-10-07 Griglia esagonale e ippocampo (riporta in calce l’indicazione bibliografica per esteso dei due lavori che hanno comunicato la scoperta da parte dei Moser, oltre al riferimento al volume classico di introduzione all’argomento). Numerose altre recensioni si trovano scorrendo l’elenco delle “NOTE E NOTIZIE” (dall’11-03-2003 al 10-07-2010 sono rubricate come “ARCHIVIO NOTE E NOTIZIE” cui si accede dal fondo della pagina “NOTE E NOTIZIE”).

[3] Gli studi sulle grid cells sono proseguiti ed è stato dimostrato che la loro attività richiede il segnale neuroni che indicano la posizione della testa dell’animale, o cellule HD (head direction cells). In proposito si raccomanda la lettura della recensione della professoressa Richmond: Note e Notizie 14-02-15 Le cellule griglia hanno bisogno del segnale delle cellule HD.

[4] Note e Notizie 28-11-15 Una lezione dai coniugi Moser insigniti del Nobel nel 2014.